sabato 8 agosto 2009

Armando e Tavolozza






Sono seduti sulla panchina, in orto: è un tardo pomeriggio quasi estivo, è metà giugno, e il sole non è ancora tramontato. Fa caldo.
Armando è seduto, il bastone tra le ginocchia, e si guarda attorno.
Sette pali a destra –palo vuoto, palo con zucca, palo vuoto, palo con finocchio, palo vuoto, palo con rosa, palo vuoto-, sette pali a sinistra –un unico roseto da cui spuntano quei tronchetti-.
Sentiero di mattonelle rovinate, pulito dalle foglie.
A destra, dopo i pali, una serie di piantine di pomodori, melanzane e cipolle ordinate in file simmetriche e regolari nelle loro aiuole; a sinistra il roseto: rose rosa antico, rose bianche, rose rosa pallido, rose rosse, poi un glicine bianco che copre l’intero corridio di mattonelle sciupate.
Armando si guarda attorno soddisfatto. E’ proprio un gran bell’orto, il suo; ci ha lavorato tutta la vita, combattendo infinite guerre contro parassiti, veleni, cani che scavavano buche in ogni aiuola, ed uscendone sempre vincitore, a costo di applicare tecniche surreali e di farsi attribuire la fama dello svitato.

“È proprio un bell’orticello, eh cara?”
La gatta sedutagli a fianco alza gli occhi.
È una bella gatta giovane, tonda e panciuta, di uno strapazzo di colori mescolati in modo tanto folle da attribuirle il nome di “Tavolozza”.
Una gatta molto gatta in sé, indipendente e opportunista, ma amorosa e ruffiana ogni volta che le capita l’opportunità.
Segue sempre Armando nelle sue passeggiate in giardino, a coda dritta, zampettandogli dietro e facendo le fusa, arrotolandoglisi attorno alle gambe per farsi grattare la testa.
In quel momento è seduta composta sulla panchina con lui, coda arrotolata, zampe allineate, muso dritto e attento, occhi –verde e giallo uniti in un colore mai visto- socchiusi a scrutare avanti a sé.
Gira la testa, alza gli occhi, guarda Armando, e lo vedi da dentro quegli occhi che con il suo amico lei parla veramente.
Lo guarda, e Armando risponde, parlandole e facendole grandi discorsi sulla sua vita, sulla sua gioventù fuggita, sugli amori passati, sulla paura di morire.
È Tavolozza che ha paura di andarsene: Armando non teme la morte. L’ha guardata in faccia molte volte quando ha fatto la guerra, sa che è solo una vecchia signora da andare a trovare. così cerca di convincere la gatta a fidarsi di lui.

Povero nonno, pensano i nipoti più grandi e i figli del vecchio, guardandolo da dietro le tende delle finestre mentre lui discorre con il felino, è proprio andato.
Tavolozza non sopporta i nipoti di Armando. Quando si dice che gli animali capiscono tutto: lo sa, lei, quello che i nipoti architettano, quello che dicono alle spalle del nonno rimbambito, quello che nascondono dietro sorrisi ipocriti.
È un classico: è la casa di riposo. Ed è domani mattina.
Tavolozza sa che in casa di riposo i gatti non ci stanno. E che assolutamente non si può tenere un orto in terrazzo.
Fermo nella sua testardaggine, Armando sarebbe capace di zappare il parquet della camera, ma sarebbe un episodio da evitare.
“lo so, lo so anche io, ma sai bene che ho sempre il mio asso nella manica” risponde Armando.
La gatta un po’ ci crede, un po’ no.
“vedrai, non ci andremo.”
Lei lo guarda diffidente poi gli struscia la testa contro il ginocchio.
Guardano assieme il sole che tramonta, aspettano gli ultimi raggi.

Il sole è calato, il cielo resta di un rosa e azzurro sbiadito, qualche nuvola intorno.
“andiamo, Tavolozza”.
Armando si alza, la gatta stira le zampe e salta dalla panchina, scuotendosi tutta.
Sono in piedi di fronte alla panchina, immobili –“nonno, vieni dentro!”-.
Armando guarda sorridendo la casa dove ha fatto crescere i suoi figli. Saluta a mente tutti i suoi nipoti, figli, parenti, amici.

“non saprei, Tavolozza. Hai salutato?”
“…”
“benissimo, possiamo andare, cara. Non preoccuparti e stammi vicina.”
Appoggiandosi leggermente al bastone, si gira e cammina lentamente verso il fondo dell’orto, la gatta a fianco, ballonzolante.
E piano piano, pezzetto per volta, Armando svanisce.
Con la gatta, con il suo orto.
Spariscono il cappello, la giacca, il bastone, la coda di Tavolozza.
Là dove c’era il vecchio, adesso c’è il nulla.

1 commento:

  1. mi chiedevo infatti dove finita:)
    bellissimo racconto.
    e non ci lasciare piu' è_é

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