lunedì 23 marzo 2009

Lunedì mattina



Esco di casa –borsa in spalla, mezza colazione ancora in bocca-, è ancora presto.
Un silenzio mattutino avvolge la via laterale del piazzale di Caripegne –è lunedì mattina-.
Regna un silenzio assonnato.
Un silenzio intorpidito.
Un silenzio che, lo sa anche lui, tempo quattro minuti –sono le setteetrentasei- inizierà a creparsi, per poi distruggersi e disintegrarsi in mille rumori nel caos di quel quarto d’ora –dalle setteequarantacinque alle ottoinpunto, a volte fino alle ottoecinque- in cui le macchine, i motorini, le biciclette e gli studenti vagano allo stato brado nella savana della Via delle Scuole di Caripegne.

Il silenzio intatto si gode fino all’ultimo secondo, coccolandosi nella sua integrità: sembra tutto deserto, le case con le tapparelle abbassate, la strada vuota, i primi raggi di sole che spuntano da dietro le case.
Poi l’orologio scatta: manca un quarto alle otto. I cancelli delle scuole vengono aperti.
L’orda arriva.

Immaginate di essere un tordo: svolazzando e vedendo la via dall’alto, si penserebbe a una statale, a un’autostrada –magari la A4- nell’ora di punta.
Enormi SUV, corriere gremite, motorini moscerini, biciclette pirata, alunni ciminiera girano bloccandosi nel traffico, realizzando ammirevoli concerti di clacson e scampanellii e creando un nuvolone tempestoso di gas e fumo di sigarette che vaga sopra i tetti, oscurando il tenue sole mattutino.
Li osservo, al sicuro sul marciapiede, e cammino verso il liceo.

Generalmente, dalla bolgia di auto incastrate, la prima a farsi notare, in quanto prima causa del mosaico di traffico, è il SUV della mamma ansiosa.
La noti dal fondo della via.
La mamma ansiosa porta il figliolo a scuola ogni mattina, perfettamente puntuale, spesso in largo anticipo, esattamente davanti ai cancelli scolastici della scuola superiore del rampollo.
Si piazza davanti all’entrata con il suo macchinone, ma non si accontenta di scaricare il pargolo in corsa, evitando di fermarsi troppo a lungo per non creare una coda chilometrica alle sue spalle, no.
Lei, prima di lasciarlo andare, raccomanda al piccino di fare il bravo, di seguire le spiegazioni, di concentrarsi, di mangiare la merenda, di non preoccuparsi se qualcosa va male, che a discutere con i professori ci andranno lei e papà.
Per il tutto ci mette un paio di minuti.
Due minuti sono niente, in una giornata.
Due minuti, all’orario di entrata a scuola, e precisamente in Via delle Scuole a Caripegne, sono un’epoca e mezza.
E se per quell’epoca e mezza tu ti fermi in mezzo alla strada con una specie di panzer quattroruote tirato a lucido, crei un intoppo, un intralcio, un blocco, insomma, infogni il traffico per il seguente quarto d’ora.
La mamma ansiosa lo sa questo, ma non gliene frega assolutamente nulla.
Per il suo piccolo, questo ed altro.
Dopo le raccomandazioni –“sssì mamma”- il fanciullo - un metro e novanta di fanciullo per ottanta chili, solitamente tri-bi-ripetente- spalanca la portiera colpendo un innocente studente-pedone ed esce, passo strascicato e spalle curve, dirigendosi in classe.
La mamma resta, sta a guardare il figlio -adorante e silenziosa- finché non scompare inghiottito dalla folla di compagni, ma all’ultimo momento, quell’attimo prima che il suo bambino venga divorato dal portone della scuola, l’istinto materno affiora prepotente, le fa spalancare il finestrino e gridare un “buona giornata, stella!”, per poi rombare via, incarognendosi con il traffico e lanciando le peggiori bestemmie a quelle mamme che si fermano davanti alla scuola per lasciare i figli.

Supero la scuola dove la prima mamma ansiosa della giornata ha scaricato il discendente -un professionale popolato da soli esemplari di adolescente maschio probabilmente umano-, e proseguo inoltrandomi nel cammino e nella folla di studenti che si ingrossa ad ogni metro.

Mentre la mamma ansiosa ricopre il suo ruolo di mamma ansiosa, ostruendo la viabilità stradale, i marciapiedi diventano regno induscusso dei ciclisti –la pista ciclabile è un optional, a Caripegne-.
Felici di non dover combattere con i motociclisti moscerini per la sopravvivenza nell’habitat asfaltato, schizzano a velocità folli per tutti i marciapiedi, scendendo e risalendo a seconda dello scorrere delle auto, rischiando di fracassarsi contro una macchina –in strada- o –sul marciapiede- di travolgere greggi di innocenti studentelli delle scuole medie, ancora ingenui e ignari delle tecniche per evitare i ciclisti killer, quali il muoversi “a muraglia” –spalancare le braccia ed avanzare a passo di lumaca, oppure prendersi tutti a braccetto e costituire una barricata umana occupando tutto lo spazio disponibile -, o, se in solitario, il munirsi di cinque borse e sacchetti –sacca di ginnastica, zaino, borsetta, busta con dizionario ed eventuale seconda borsa per portarsi ulteriori libri scolastici- e quindi rendere impossibile il sorpasso da parte di un pedalante anomalo, impaurito dal rischio di agganciarsi a uno dei vari manici o spalliere delle borse.
Con un balzo acrobatico schivo tre ciclisti, faccio la gimcana per evitare un paio di sportelli automobilistici in apertura, poi –e scusate, eh- inizio a camminare a gambe larghe, stile sceriffo western, gomiti sui fianchi e andatura placida, pronta ad andare letteralmente incontro a qualsiasi ciclista mi si avvicini.
Questo marciapiede è troppo stretto per tutti e due.
E quella che scenderà in strada non sarò certo io.

In eccezionali giornate o orari in cui le mamme-stoppa-traffico non sono ancora posizionate nel mezzo della strada, e quindi la via è ancora libera, i ciclisti sono soliti muoversi in blocco compatto, occupando ovviamente tutta la corsia del senso e muovendosi al rallentatore, sostituendo quindi le mamme ansiose nel ruolo di intralcio stradale.
Sordi ad ogni suonata di clacson, continuano la loro lenta marcia verso le differenti scuole, aumentando di numero di metro in metro, accorpando al branco tutti i ciclisti circostanti.
I motorini moscerini, ovviamente, vedendosi la pista intralciata da esserini più lenti e più piccoli di loro, si inveleniscono.
Non potendo lanciarsi nello stormo di ciclisti e investire l’investibile -causa vigile vigile pronto ad appioppargli una multa da capogiro alla prima infrazione- , il motorino moscerino si imbastardisce.
Simulando un innocente sorpasso –il fatto che sia a destra non modifica la sua innocenza-, cerca di passare a massima velocità alla minima distanza dal manubrio del ciclista esterno, magari tentando di agganciargli la borsa da ginnastica e quindi trascinarlo per qualche metro.
Se in compagnia, i motorini moscerini adottano la tecnica bilaterale: superano in massa, dividendosi metà a sinistra e metà a destra, e stringendo l’informe massa ciclistica e riducendola alla fila indiana.
A quel punto tu li guardi e ridi, perché quei ciclisti là, il giorno prima te li eri trovati sul marciapiede e ti avevano fatto ballare la salsa per evitarli nel loro procedere zigzagato.

L’unico che in strada non risente dell’attacco motociclistico è il ciclista filosofo.
Il ciclista filosofo -a volte uno studente, a volte uno stesso professore di filosofia- vaga distratto e distaccato dall’agglomerato ciclistico su una bicicletta sgangherata che sembra pronta perdere pezzi ad ogni curva, ma che si regge intatta grazie a chissà quale forza divina o fisica.
Impassibile a qualsiasi tentativo di richiamo, appare totalmente immerso nei suoi pensieri –occhi socchiusi e bocca semiaperta che gli conferiscono l’autorevole aspetto di una triglia al forno- e pedala ancora più lentamente del normale, generalmente al centro della strada con moto vario e traiettoria a zig-zag che rende impossibile il sorpasso.
Quando il ciclista filosofo è un professore, il motorino moscerino non si azzarda a tentare di superarlo.
Quando il ciclista filosofo è un coetaneo, il motorino moscerino non si fa troppi problemi a cercare di passare oltre, con risultati immaginabili.
Il punto peggiore in cui ci si possa imbattere in un ciclista filosofo, è la fermata delle corriere navetta, poiché il rischio di stampare la propria faccia sulla fiancata di uno dei grossi mezzi di trasporto è molto elevato.

Ma le fermate degli autobus non sono luoghi minati solo per l’ignaro ciclista filosofeggiante.
Anche io, innocente pedone, rischio di essere travolta in quelle banchine di scarico, quelle valanghe di zaini, quelle cascate di alunni che si precipitano fuori dalle porte –aria!-.
Cariche come vagoni di treni ai tempi delle deportazioni ai campi di concentramento, le corriere arrivano puntualmente in ritardo e in massa.
Alle setteecinquantaude precise, in piazza, le figure di quattro navette si stagliano all’orizzonte.
Una per punto cardinale.
Sento il rombo dei motori alle mie spalle e rabbrividisco, nonostante io sia ormai a metà strada, non lontana dalla mia scuola.
Purtroppo sono ancora troppo vicina al vicolo delle corriere.
Con manovre allucinanti e quantomai aggrovigliate –lunghi bruchi blu e arancioni-, si impelagano tutte per la stretta via che collega il piazzale con la maledetta Via delle Scuole, incolonnandosi e strombazzando, creando un incredibile blocco del traffico di lunghezza impensabile.
Tutto questo è dovuto al fatto che la prima corriera si ferma alla prima fermata: cinque minuti perché tutti scendano.
Nel frattempo le altre tre corriere aspettano diligentemente in coda, e io cammino sempre più in fretta, sentendo l’orda di scaricati alle mie spalle.
Finito lo scarico, la prima se ne va, e la seconda procede oltre la prima fermata per arrivare alla propria, cinque metri oltre la prima.
Altri cinque minuti per lo scarico degli studenti ammassati nella seconda corriera, poi il procedimento si ripete con la discesa dei barbari della terza e quarta corriera, rispettivamente alla terza fermata –dieci metri dalla fermata numero uno- e alla quarta –quindici metri dalla prima-.
Grazie all’invasione degli studenti provenienti dai comuni vicini, il traffico si blocca per venti minuti.
Ovviamente il vigile vigile non può intervenire, in quanto sta sorvegliando i motorini moscerini perché non cerchino di sterminare i ciclisti, filosofi e non.


Dopo essere stati scaricati dai rispettivi mezzi di trasporto quattroruote, noi studenti ci dirigiamo verso le rispttive scuole, mescolandoci e smistandoci mano a mano che procediamo per la via.
Siamo in tanti.
Ma tanti tanti, perché i diversi sindaci di Caripegne dopo Lanzarelli, sindaco negli anni ’60 che fece costruire il liceo, hanno avuto tutti la brillante idea di far costruire una scuola per ciascuno.
E non hanno pensato di costruirle sparse.
Hanno tutti avuto il geniale pensiero di concentrarle in un’unica via, così ora la Via delle Scuole di Caripegne –il cui vero nome sarebbe Via Salenzi- conta sei edifici scolastici, nell’ordine da est a ovest: una scuola elementare, una media, un asilo, un liceo, un professionale artistico e un professionale IPSIA.
La media di alunni per scuola è di cinquecentootto ragazzi.
Capirete che, nonstante le elementari e l’asilo entrino rispettivamente mezz’ora e un’ora dopo i mediani e i liceali, il numero di ragazzi dell’età compresa tra undici e vent’anni vaganti per la strada prima delle otto è esorbitante.
Una specie di orda barbarica che discende dai letti, una masnada di giovani menti pronte a stravaccarsi sui banchi, una torma di teenager armati di zainetto che occupa e popola i marciapiedi, scontrandosi con ciclisti impazziti, lanciandosi nel mezzo della strada per attraversare, scendendo con un balzo dalle macchine in semimovimento.
Un’onda.

1 commento:

  1. Sono una studentessa anche io e nella mia stessa classe ho un'esempio di mamma ansiosa, che incurante del fatto che nella via della mia scuola ci siano ben 3 e dico 3 ospedali,si piazza puntualmente tutti i giorni in mezzo alla strada attendendo con la sua Jeep nera che la figlia esca da scuola e non intralcia solamente la corsia delle auto,nooo.
    Si piazza a metà tra quella degli automobilisti e quella dei taxisti...poi c'è il mio professore di Italiano, un tipo piuttosto eccentrico, che si rispecchia perfettamente nel ciclista-filosofo, ogni giorno arriva in treno dalla Brianza e incurante del tempo -anche quando Milano è rimasta bloccata dalla neve,lui durante l'intervalle delle 10 è arrivato con la sua bicicletta sotto un simpaticissimo cappellino bianco di lana- si fa tutti i giorni il tragitto Stazione-Scuola Scuola-Stazione,poi in classe racconta gli incontri con le mamme-ansiose che puntualmente rischiano di investirlo nel tentativo di fare slalom fra il traffico per non perdere di vista i figli e successivamente pretendono di aver ragione!

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